in questi giorni l’attenzione dei media ci costringe a puntare lo sguardo sulla Birmania, un paese del sud-est asiatico che vive da oltre 45 anni sotto un regime che opprime la popolazione, tenendola in uno stato di miseria e povertà nonostante il Myanmar sia un paese ricco di risorse naturali (gas naturale, rubini, teck, etc.), nonostante fosse il maggior produttore mondiale di olio e di riso sotto l’impero britannico.
Oggi tutti sanno cosa succede in Myanmar, eppure questo stato di cose è andato avanti per 45 anni e mai nessuno (tranne poche eccezioni) se ne è preoccupato.
Oggi per esprimere la propria solidarietà al popolo birmano ci si mette un fiocchettino rosso sulla maglietta, si esprime indignazione.
Anche il papa esprime la sua “vicinanza spirituale” al popolo birmano.
Gli Stati Uniti decidono di vietare le transazioni economiche per i dirigenti del regime.
Ma noi cosa stiamo facendo? di certo non possiamo andare laggiù per fare qualcosa di persona, gli stranieri oggigiorno non sono ben accetti in Myanmar, e allora che possiamo fare?
Possiamo trarre tutti gli insegnamenti che possiamo da questa tragedia. A qualcuno o a molti abituati a parlare (e basta) più che a ragionare potrà sembrare poco, eppure io penso che ci sia così tanto da imparare da questa tragedia che sarebbe un’ignominia lasciare che questa tragedia si consumi senza che sia servita a qualcosa anche per noi.
- La prima lezione che possiamo trarre è che il potere ha bisogno che non si sappia, che non circolino le idee e le notizie, infatti uno dei primi atti repressivi della giunta militare della Birmania è stata di bloccare internet (nonostante fosse già ampiamente limitato e censurato)
- l’ONU ancora una volta si è dimostrato per quello che è, ovvero un inutile consesso dove vengono tutelai gli interessi di alcuni paesi e di alcuni gruppi di potere, in totale di sprezzo delle sofferenze di intere popolazioni
- il papa è “vicino spiritualmente” al popolo birmano, tuttavia i vescovi precisano pero’ che, secondo il diritto canonico e gli insegnamenti sociali della Chiesa cattolica, “i preti e le religiose non si possono coinvolgere nei partiti politici e nelle attuali proteste”, in parole povere la strada del martirio è meglio che la percorrano i monaci buddisti, perché i sedicenti eredi degli apostoli di Gesù non possono intervenire nella vita politica di un paese (che poi è la stessa posizione che esprimono i vescovi italiani, o no?)
- i giornali italiani, a prescindere dalla tendenza politica che pretendono di avere, riportano le stesse notizie e allo steso modo, infatti sia Repubblica che sul Corriere è riportato l’appello del papa ma non la presa di posizione dei vescovi cattolici della Birmania
- gli Stati Uniti quando non hanno interessi nel controllo strategico di un posto (come in Iraq o Afghanistan) non hanno neanche interesse a esportare la democrazia, al massimo si limitano a sanzioni economiche (che colpiscono la popolazione) e restrizioni alle transazioni economiche dei dirigenti del regime: ma negli anni precedenti non le avevano imposte?
Oggi nel Darfur continuano a morire molte più persone che in Birmania, e questo massacro va avanti da molto più tempo, eppure non si trova la copertura finanziaria per l’invio di caschi blu nella regione, sicché ogni giorno che passa i morti aumentano, finché la notizia diventerà un semplice sottofondo come gli omicidi di palestinesi da parte degli israeliani.